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Suzuki Jimny 1.5 DdiS – Minimalismo + raffinato per il Furetto forzuto

Il più piccolo tuttoterreno del mercato ha ceduto presto ai richiami del diesel. La versione potenziata, e parsimoniosa, che Suzuki ha elaborato dalle mani Renault non lo rende più scattante del fratello a benzina, semmai fa sfruttare le sua innata agilità mettendo a disposizione quasi il doppio della coppia motrice. L’arredo segnato con il “+”, dà valore a sfiziosità fashion in un 4wd dalla sostanziale concretezza.

Pensare al “Suzukino” Jimny proposto, lui così compatto e minuscolo, con un altrettanto piccolo motore diesel, porta a trarre un paio di conclusioni. La prima è notare come l’alimentazione a gasolio, spinta commercialmente ovunque, in ogni settore e in ogni modo quale più alto esempio di conquista tecnologico-motoristica in fatto di rendimento, sia riuscita a coinvolgere veramente tipologie di veicoli a tutti i livelli. La seconda, per contro, è che un diesel sotto il cofano di un Jimny non è affatto una forzatura, e svela invece motivazioni concrete sotto vari aspetti.

BUONA LA SECONDA

Anche perché in Suzuki hanno fatto le cose per bene, realizzando l’operazione di innesto con intelligenza tecnica e oculatezza per valorizzare il loro piccolo 4×4, e questo vale a maggior ragione con la seconda serie del 1.5 DDiS. La prima è stata una parentesi “strana”, dettata dal perfezionamento di situazioni commerciali e dalla lotta contro il tempo per introdurre il prima possibile un Jimny a gasolio. Il diesel del debutto va anche bene, ma chi lo ha comprato si dovuto accontentare di 65 CV e 160 Nm di coppia a 2.000 giri. In questi termini, il paragone col benzina 1.300, che intanto aveva conquistato la fasatura variabile, faticava a non diventare deficitario. Il cofano si distingueva già per la presa d’aria, ma l’intercooler non c’era. La protuberanza estetica è diventata utile solo dopo, con la versione più importante del diesel “Model year 2006”, provvisto di intercooler e capace di guadagnare 21 cavalli buoni, con 40 Nm di coppia in più raggiunta a un regime assai più basso.

PROLUNGATA GIOVINEZZA

Diciamo che se anche il Jimny (come il suo predecessore) è uno di quei fenomeni automobilistici detentori del “siero antietà”, e che risentono molto meno del passare degli anni, è possibile azzardare che la presenza della versione a gasolio gli abbia prolungato ulteriormente la giovinezza, facendo leva sulle tendenze di mercato e la voglia di diesel sciolti e risparmiasi. Le scelte tecniche sono in linea con la natura di quello che è in assoluto il più piccolo fuoristrada del mercato, sfruttatissimo nelle aree urbane, rimane un off-road nel più reale senso del termine. Linee semplici, minimaliste, rivelatrici di un’ossatura solida, riescono dopo dieci anni ad avere ancora una discreta aria di attualità. I fari carenati, la calandra “che non c’è” in quanto ricavata dagli intagli del cofano, la ruota di scorta appesa dietro al piccolo portellone, creano un insieme che piace a un ampio range di clientela; va bene per la casa in montagna, per sfidare tracciati trialistici, come per allietare gli spostamenti dell’impero femminile. Agile, sa fare il rude tra i rudi, ed è un grande donnaiolo questo Jimny.

A cedere qualche indicazione sulla generazione del progetto è il posteriore, che diversamente dai 4×4 di attualità, ha frecce e luci ancora inserite nel paraurti, il quale riesce a nascondere l’età con il design, che abbraccia gli angoli e si amalgama con grazia alla carrozzeria. Il “gobbone” con la grande bocca per l’aria, come dicevamo, e l’elemento di riconoscibilità rispetto alla versione a benzina. Nel merito, il giudizio estetico è soggettivo; toglie pulizia stilistica, ma dà un tono più grintoso, meno “cartoon” allo sguardo. Per il resto, di evidentemente diverso ci sono solo il logo sulla carrozzeria e la scala del contagiri davanti al guidatore. Da ricordare come il mini 4wd sia stato il primo nella gamma a usufruire della svolta Suzuki in fatto di approvvigionamento di motori diesel: non più Peugeot ma Renault. Il quattro cilindri di soli 1,5 litri deriva dalla serie k9k con alimentazione common-rail. La dicitura DDiS sta per Diesel Direct inection by Suzuki, a sottolineare il lavoro di adattamento realizzato dai tecnici giapponesi. Un aspetto non da poco ha riguardato la compatibilità con la trasmissione.

“+” FASHION

L’equipaggiamento JLX+ è l’ultimo introdotto in listino, elaborato con un look più vezzoso, affinato da dotazioni aggiuntive e dettagli in tinta. Lo stesso avviene a bordo, dove sedili mix tessuto-pelle e altri rivestimenti di pregio, si inseriscono per elevare la personalità di un arredo sostanzialmente votato alla semplicità, frutto di un progetto che guardava alla modernità senza perdere di vista i canoni classici del veicolo fuoristrada. Pannelli e strutture pensati per resistere  e essere pratici piuttosto che creativi o perfettini, assumono sulla JLX+ toni quasi SUV. Considerato l’imperativo di equilibrare i costi alle misure di un veicolo che ha già nella meccanica elementi superdotati, il “maquillage” ha il suo effetto. Non è però la rivoluzione, e certi peccatucci non possono sparire. Plastiche e particolari come il devioluci, per esempio, continuano a essere un po’ spartani, manca l’illuminazione di alcuni comandi fondamentali (come manca quella del mini portacenere, che per chi fuma, di notte diventa una specie di caccia al tesoro, a meno che non si accenda la luce sulla plafoniera).

SPAZI A RISCHIO

In rapporto alle dimensioni (il Jimny è cm più cm meno equiparabile a una nuova Panda) lo spazio si fa accettare, ma non è proprio sfruttato a  meraviglia. Un passeggero appena robusto che si cinge ad affiancare il guidatore, deve stare ben attento nell’atto di entrare a bordo al rischio di picchiare le ginocchia in qualche punto del sottoplancia o, peggio, lo spigolo prominente della consolle centrale, mentre aprire lo sportello portaoggetti è per lo stesso passeggero una specie di atto sacrificale: o se lo becca sulle gambe, o deve lasciargli via libera “tra” le ginocchia (se poi c’è di mezzo una gonna è meglio fermarsi e scendere). Dalla parte della guida, complice la plancia un po’ incombente, la triangolazione sedile-volante-pedaliera è piuttosto “stretta”. Si valorizzano quindi le regolazioni del sedile (dalla corsa lunga) e del volante, che permettono una posizione naturale anche ai piloti di alta statura. L’eventuale passeggero alle spalle, dovrà magari accettare il maggior sacrificio di spazio, anche se ha un vantaggio a compensazione: la possibilità di regolare l’inclinazione del proprio schienale sedili posteriore.

Per raggiungere i posti dietro, il sedile scorre in avanti e si reclina automaticamente; infilarsi, dipende poi dalle articolazioni, ben oliate, dell’umano. Per i bagagli resta almeno il dignitoso posto per un paio di zaini. I due sedili posteriori ribaltabili separatamente a sandwich offrono soluzioni utili per carichi maggiori.

INVIADIATO DALLE CITY-CAR

L’avviamento del diesel non pretende l’attesa del benestare di qualche spia; è sempre partito prontissimo. Semmai il freddo sottolinea iniziali strepitii metallici, che si attenuano in breve, ma scordatevi che spariscano: la sonorità del piccolo DDiS  si fa solo più morbida in relazione ai giri. Le paratie insonorizzanti davanti alla plancia non sono fatti per allietare i patiti del silenzio. 

In rapporto alle dimensioni “lillipuziane”, Jimny ha un passo piuttosto lungo, da cui ottiene sbalzi ridotti all’osso e un buon equilibrio nella ripartizione dei pesi, lasciando margini notevoli in manovrabilità: si fa dietrofront in uno spazio di meno di 5 metri. Il fatto che uno dei fuoristrada di impostazione più pura e classica piaccia così tanto da guidare in città, non è questione di moda, ma di praticità fuori dal comune. La posizione di guida non è “a trespolo”, ma più alta della media, e se lo specchietto interno è un po’ limitato, i retrovisori esterni e le ampie superfici vetrate catturano angoli di visuale che danno un controllo assoluto (probabilmente nessun veicolo oggi può fare di meglio, a parte forse la Smart). Maneggiare il Jimny è l’esaltazione dell’intuitività; si passa e si parcheggia in anfratti ridicoli con agilità, e paradossalmente, rispetto a una utilitaria, il senso di protezione è quello di un piccolo carroarmato. Altro vantaggio: lo sterzo è molto demoltiplicato, e la servoassistenza conserva sempre la stessa sensibilità.

BATTITI FORTI E REGOLARI

Da parte sua, il diesel 1.5 rende sveglio e sciolto il piccolo 4×4, a seconda comunque delle disposizioni del cambio, i cui rapporti corti esaltano gli scatti brevi ma trattengono un po’ le briglie in accelerazione, che comunque non si allontana dalle doti del benzina. Si fa sentire invece la maggiore coppia del 1.5 DDiS, quasi il doppio, e le riprese dai bassi giri sono piene e, specie in 3ª e 4ª, ma anche in 5ª, spingono a lungo. L’impressione, gradevole, è di avere un cuore robusto su un furetto campione nei dribbling. Il che può essere divertente, ma diventare anche riposante per la concessione di sfruttare la lunga vita delle ultime tre marce per limitare i passaggi col cambio.

A 1.500 giri il funzionamento è pieno e regolare, e da 40 all’ora riprende senza incertezze anche in 5ª. Il cronometro è l’ultimo dei pensieri valutativi; quello che conta in questo 4×4 di poco più di una tonnellata di peso distribuita in poco più di 3 metri e mezzo, è la scioltezza, il rendimento della quantità di forza. Non serve impegno per percorrere 13/14 km con ogni litro, senza grandi variazioni per il tipo di percorso. Perfino i trasferimenti autostradali appaiono abbordabili se si considera che il frastuono e le vibrazioni che rinvigoriscono tra i 115 e 125 all’ora, diventano più sopportabili superata la soglia critica. Dopo la tempesta di decibel, a 130 all’ora i pistoni sembrano trovare maggiore pace nel loro lavoro, fino al massimo consentito, che non va molto più in là: difficilmente oltrepassa il confine reale dei 150 orari. Ma l’autostrada non è la norma. Conta invece che il Jimny diesel appare ben bilanciato, anche più del fratello a benzina, con la complicità di qualche chilo aggiuntivo che offre la concreta sensazione di un avantreno più muscoloso e aderente al terreno. La frenata è apparsa più lunga di quanto riportava la memoria di test precedenti, un po’ forse perché nel frattempo ci siamo abituati meglio, ma anche semplicemente perché le pastiglie avevano ancora poco da dare all’esemplare in questione.

GO-KART RIALZATO

Con le tarature della meccanica quelli della Suzuki hanno lavorato per una lodevole “par condicio” tra asfalto e nuda terra. Lodevole anche perché i due “fuoristradistici” ponti rigidi con sistema a tre bracci e molle progressive riescono ad assecondare irregolarità della strada anche spesso inattese. Tra le curve, la rigidità telaistica e le misure corte, entro certi limiti esaltano la sveltezza del Jimny. L’erogazione del turbodiesel rende le traiettorie progressive, e le irruenze del guidatore portano a controllare proporzionali tendenze sottosterzanti (nonostante su asfalto si viaggi con trazione posteriore). È come un go-kart sopraelevato. Di fatto, il corpo corto, alto e rigido diventa anche inaspettatamente nervoso con chi scherza troppo con le leggi dinamiche. Qui non c’è elettronica a mettere pezze.

LA COPPIA LO FA PIÙ SCALTRO

Fuori dalla strada non ce n’è neppure bisogno. Anzi, in versione DDiS, le qualità del Jimny trailista ammirate nel mondo off-road trovano la loro espressione più elevata. L’equipaggiamento standard di prevede una versatile gommatura, gli sbalzi ridotti la carrozzeria compatta dalle superfici nette, il “gioco di gambe” offerto dagli assali rigidi, fanno assaporare una combinazione di agilità estrema e capacità di grip che è l’espressione del fuoristrada più divertente. Non c’è neanche gran saltellamenti a interferire con la guida; assetto e ammortizzatori hanno un buon controllo. La classica trazione 4×4 part-time inseribile anche in movimento, non richiede nemmeno più di impegnarsi nel nuovere la leva meccanica; il Jimny un semplice set di tre tasti con cui selezionare il tipo di trazione (2wd e 4wd) e il riduttore, che non ha una super demoltiplicazione ma è più che sufficiente a rincarare la dose di forza da inviare alle ruote. A imprimere incisività c’è del resto la coppia erogata dal turbodiesel, che effettivamente riesce ad avvalorare la fama e le credenziali da off-road di valore del piccolo Suzuki e portarle anche a un livello più alto di efficacia. Infatti, dove un Jimny benzina è costretto ad arrendersi (e poche altre Jeep, Land Rover o Toyota possono, aggrapparsi per guadagnare ancora metri) il Jimny diesel dà modo di insistere sull’ostacolo e sulla pendenza arcigna e di trovare nuovi spunti all’avanzamento. Il rapporto forza/peso è molto più avvantaggiato. Rimane la necessità di una maggiore distanza minima a terra, gap di cui risentono però i clienti più virtuosi, gli stessi che hanno delle riserve sull’abbondanza del paraurti anteriori. In questi casi, per l’up-grade dell’altezza da terra e dell’angolo di attacco, gli appassionati sanno che non ci vuole molto per ottenerlo, perché la meccanica del Jimny si presta facilmente a modifiche di questo tipo. Tuttavia è questa una considerazione che interessa più marginalmente le versione con l’allestimento JLX+, il quale, pur in un 4×4 che deve stare lontano dalle pretenziosità fashion, rappresenta la facciata più stilosa, l’animo più nascosto dello gnometto off-road.  

SCHEDA TECNICA

MOTORE (Euro 4)

TRASMISSIONE

CHASSIS E CONTATTO AL SUOLO

DIMENSIONI (cm)

PESO

ABITACOLO (cm)

VANO BAGAGLI

PRESTAZIONI rilevate

CONSUMI litri/100 km

Autore/i: Fabrizio Romano
Pubblicazione: 25/09/09 – 12:11
Categoria: TestOFFROADERTest

 

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