Il Box del dott. Giuseppe Marino
Evasione fiscale: Cassazione allo sbaraglio
Con la sentenza n. 5490 del 06/02/2009 si è stabilito che esistono due pesi e due misure per il contribuente
Come ho già scritto su Il Corriere Flegreo, in Italia ormai la giustizia tributaria è finalizzata soltanto ad uno scopo, battere cassa, assicurando allo Stato le entrate tributarie necessarie agli enormi sperperi. Tale assunto nasce spontaneo leggendo la vicenda di un contribuente milanese, al quale a seguito di una verifica fiscale, la guardia di finanza aveva trovato 347.000,00 € di movimenti bancari non giustificati. L’agenzia delle Entrate, non ottenendo giustificazione, emette avviso di accertamento e lo denuncia penalmente per aver superato la soglia di punibilità di 75.000,00 €.
Dopo anni di battaglie in tutti i gradi di giudizio il contribuente arriva in Cassazione, per ottenere due sentenze contrastanti. Ai fini Civili è un evasore, ai fini penale non è evasore. La vittoria ottenuta dal fisco in sede civile viene sbandierata dall’ amministrazione finanziaria anche nella Cassazione penale, ma i Giudici con sentenza n. 5490 del 06/02/2009 ritengono insufficienti le prove dell’evasione.
Mi domando da cittadino come si puo’ essere colpevoli ai fini tributari e innocenti ai fini penali?
Il tutto nasce dall’interpretazione dell’art. 32 del Dpr 600/73.
Secondo la Cassazione penale va in primo luogo precisato in punto di diritto che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), contiene una presunzione legale di corrispondenza delle partite attive, risultanti dai rapporti del contribuente sottoposto a verifica con gli istituti di credito, con i ricavi dell’attività di impresa o professionale, in assenza della dimostrazione che le stesse “non hanno rilevanza” ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta.
Detta presunzione, tuttavia, non opera in sede penale, per cui diventa presunzione semplice, che deve essere affiancata da fatti gravi, precisi e concordanti, sicchè il giudice di merito deve motivare in ordine alla ragioni per le quali i dati della verifica effettuata in sede fiscale sono stati ritenuti attendibili.
In parole semplici ai fini fiscali, deve essere il contribuente a provare che non si tratta di evasione, ai fini penali deve essere il fisco a provare che tali movimenti sono frutto di evasione fiscale. Due pesi e due misure.
Concludo con un ricordo storico, l’impero romano, che per 8 secoli
ha dato le basi e consacrato i valori giuridici permanenti dell’attuale ordinamento giuridico moderno aveva costituito due importanti principi:
Onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat: alla lettera
“l’onere della prova è a carico di chi afferma qualche cosa, non di chi lo nega, nel caso specifico è il fisco che deve provare l’evasione e non il contribuente”.
Onus probandi incumbit actori: alla lettera “l’onere della prova è a carico di chi fa valere in giudizio il diritto, nel caso in cui si richiede un rimborso all’amministrazione o un esenzione è giusto che sia il contribuente a dimostrare di averne diritto”.
A quanto pare forse non siamo degni di essere gli eredi diretti di questi magnifici giuristi del mondo antico, che forse era piu’ giusto di questo moderno.