Impossibile dimenticare quel primo anno, il braccio di ferro con il compagno di squadra Fernando Alonso, e poi nel 2008 il Campionato combattuto fino agli ultimi metri dell’ultimo GP, in Brasile. 28 anni, 120 GP disputati, 22 vittorie, 30 pole position, 12 giri veloci, 1.037 punti e, ovviamente, quel Titolo. Sei anni in McLaren e poi, d’improvviso, la decisione, lo scorso settembre, di lasciare quel nido caldo per imbarcarsi in una nuova avventura, con la Mercedes. Per molti un azzardo di cui si sarebbe pentito. E invece si è ambientato subito, ha fatto gruppo, sono arrivati punti e nell’ultimo GP, in Ungheria, anche la prima vittoria.
Cambio pelle – Ma, soprattutto, Lewis è cambiato. In pista ha sempre una marcia in più, ma non commette più quegli errori da “testa calda” che spesso gli sono costati antipatie, qualche penalità e qualche GP. Guida con il piede e con la testa, ha imparato a gestire le gomme (uno dei segreti per arrivare davanti, quest’anno più che mai) e appare sereno, libero, sollevato. Come se fosse uscito da una gabbia, seppur dorata.
Il vero Lewis Hamilton forse è questo, quello di prima era “costretto”. Come lui stesso ha ammesso, in McLaren c’era grande controllo, mentre in Mercedes è libero di esprimersi, essere se stesso, pur dovendo ovviamente rispettare delle regole. E non è un caso che suo padre, fino a un paio d’anni fa anche suo manager, finché Lewis non ha deciso di troncare quel cordone, odi i tatuaggi. “Mio papà non approva”, ha detto, “ma non mi serve la sua approvazione, mi piaccio come sono, non ho bisogno che qualcuno mi dica cosa fare. Se gli altri non mi accettano come sono, il problema è loro, non mio. Dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi”.
Sa di attirare da sempre molto critiche ed è consapevole di aver commesso parecchi errori in passato. “So di essere una persona che si ama o si odia. Purtroppo quando sono arrivato in F1, dicevo una cosa ma ne pensavo un’altra e venivo frainteso”. Vero, come l’odio che ancora provano per lui gli spagnoli, retaggio della coabitazione da incubo con Fernando Alonso nel 2007. Ma chi lo conosce davvero lo apprezza. Anche per il coraggio di ammettere gli errori, l’irrequietezza, gli atteggiamenti fuori dalle righe in una Formula 1 spesso ingessata in schemi fissi.
Insomma, voglia di cambiamento, di affermare se stesso, di comunicare e mostrarsi al mondo anche attraverso i tatuaggi, con quelle croci così in evidenza. Un che di mistico, che lo avvicina al suo modello di sempre, Ayrton Senna. Lewis è cresciuto seguendo i suoi passi, respirando la stessa aria in McLaren, accanto a Ron Dennis. Di Ayrton ha tanto, sarà per questo che il suo stile e la sua grinta in pista piacciono e spaccano in egual misura. Così speciali e così normali, uniti dalla passione per le corse, dalla voglia di lasciare il nido e rimettersi in gioco con nuove sfide e dalla continua ricerca di essere migliori. E liberi, anche di sbagliare.
Redazione MOTORAGE
30/07/2013 – 13:36