Il 2103 è stato un anno da dimenticare per le maggiori aziende petrolifere mondiali riunite nel Big Oil, il cartello noto fino a qualche anno fa come “le Sette sorelle”. Oggi, il gruppo dei maggiori produttori di idrocarburi del pianeta è composto da BP plc, Chevron Corporation, ExxonMobil Corporation, Royal Dutch Shell plc, Total SA e ConocoPhillips Company.
Guardando ai risultati dell’ultimo trimestre 2013, c’è da preoccuparsi: Exxon Mobil, la più grande azienda americana, ha riportato un calo dei profitti del 27%, Royal Dutch Shell, la più importante in Europa, ha dichiarato il 48% in meno.
Chevron dichiarerà i risultati degli ultimi 3 mesi del 2013 solo il prossimo venerdì e ConocoPhillips, ha riportato un balzo del 74% ma solo in seguito alla cessione di asset non strategici.
MENO PETROLIO A COSTI PIU’ ELEVATI – Il problema, per tutti, è esattamente il medesimo: si sta producendo meno petrolio di un tempo e a costi sempre più elevati.
Le grandi riserve sono pressoché esaurite e, per mantenere gli standard produttivi, stanno spendendo sempre di più per scovare nuovi giacimenti.
Fadel Gheit, analista energetico della banca di investimento Oppenheimer, la spiega così: “è come dare cibo a un elefante. Non gli puoi dare un paio di arachidi, gli devi fornire almeno un camion al giorno per provvedere alla sua sussistenza e renderlo felice.
Il risultato è che le compagnie stanno investendo enormi quantità di capitali in progetti faraonici come il bestione Prelude che la Shell sta facendo costruire in Korea, una nave gigantesca (12 miliardi di dollari di costo) per sondare gli oceani alla ricerca di petrolio.
Parte del problema deriva dal ritardo accumulato dai grandi player mondiali, che non hanno sfruttato la rivoluzione tutta americana degli olii di scisto. Hanno invece adottato altre strategie: Exxon ad esempio ha acquistato XTO Energy, produttore di gas naturale ma in seguito il prezzo di questo è crollato. Oppure hanno iniziato costosi progetti di ricerca in Africa e Asia ma con risultati deludenti.