Energia Alternativa – Quello che vorreste sapere e…
Siamo nel pieno di una corsa che si chiama “Mobilità Eco-sostenibile” o “Mobilità Ecologica“. Vi corrono tutti, dalla city-car alle sportive, passando per i SUV 4×4, che anzi, per vari costruttori diventano un po’ i portabandiera della gamma (da Peugeot RXH a BMW ActiveHy, dalla corazzata delle tedesche VW-Audi, alle nipponiche Toyota, Lexus e le Subaru XV a GPL). Ma sui modelli specifici ci torneremo con approfondimenti dedicati. Ora vogliamo parlare delle basi che concretizzano le idee ambientaliste e i progressi tecnologici contro la dipendenza dal petrolio. Dei chiarimenti su ogni soluzione che si rispetti.
Tutti hanno investito su strade alternative al petrolio. Studiare e produrre veicoli “eco-compatibili” è diventato il vanto da sfoggiare e un obbligo per rientrare nelle normative antinquinamento sempre più restrittive. Si può puntare su tecnologie di immediato utilizzo o su applicazioni futuristiche. Perché è il prodotto da cui ricavare energia che fa la differenza.
I killer per l’ambiente sono diversi. Temiamo pure il CO2 che è anidride carbonica, gas usato anche per frizzare le bibite. Non è inquinante, ma è tra i responsabili dell’effetto serra.
Le contromisure si moltiplicano, amate o insultate. Si parte dai carburanti ecologici, sapendo che servono fonti rinnovabili “bio” al di fuori dell’agricoltura. La sfida sull’ibrido è sempre più tenace: evolve e piace a molti per l’efficienza, resta “una pezza” in attesa della “soluzione totale” per altri. I costi di acquisto sono alti, i risparmi d’uso non superiori al 20%, ma è lecito aspettarci che con l’incremento dell’autonomia delle modalità elettriche, il motore a combustione interna verrà usato sempre meno (magari solo nei lunghi spostamenti).Muoversi a kilowatt significa fare i conti con le batterie, e l’applicazione di quelle al litio ha rallentato molte corse dei produttori.
La selezione è nell’idrogeno? Che non è una fonte energetica ma un vettore. Quindi, vediamo un po’…
Biocarburanti
La pozione magica Sono carburanti estratti da materie prime agricole, biomasse, e per questo considerati fonti d’energia rinnovabili. Sono ottimi per contrastare dipendenza dal petrolio ed effetto serra, non sostitutivi: i terreni coltivati non sarebbero in grado di rendere i mercati autosufficienti. Nulla di inedito comunque; pochi sanno che il primo motore a gasolio inventato da Rudolf Diesel nel 1893 funzionava proprio con olio di arachidi. Poi al carburante d’origine vegetale venne preferito quello d’origine fossile, più economico e utile alla nascente industria petrolifera.
Ora il “Bio” può diventare perfino competitivo. Con il progetto BEST Bio for Sustainable Transport la commissione europea diede il via anni fa a un piano di rilancio del biocarburante, imponendo ai Paesi membri di soddisfare quote crescenti di combustibile con bioetanolo o biodiesel. Per i sostenitori, un’opportunità imprenditoriale e lavorativa, risparmio nelle importazioni. Una beffa, come un autogol, il fatto che la commissione dei diritti umani dell’Onu ha fatto da contrasto alla diffusione dei biocarburanti, recriminando sull’aumento del prezzo del granoturco, a discapito soprattutto delle popolazioni più povere: “produrre fonti di cibo e poi bruciarlo nei motori è un crimine contro l’umanità”. Così si sono prese in considerazione fonti diverse, celluloidi, resti legnosi e detriti da cui ricavare biocombustibile. Sono pronte da anni, ma il loro impiego concreto è delimitato a poche realtà industriali.
Il bioetanolo è etanolo prodotto dalla fermentazione di prodotti agricoli ricchi di zucchero, quali i cereali. Utilizzato come componente per benzine, miscelabili in determinate percentuali fino al 20% senza modificare il motore o fino ai limiti del puro nei propulsori Flex (costruititi ormai da anni) riduce le emissioni di CO2, SO2, idrocarburi e particolato. In Paesi come Brasile e Svezia lo utilizzano da tempo alla pompa, l’amministrazione americana lo ha imposto praticamente già dai primi del secolo, ma fatica a farne espandere l’uso anche in Europa.
E85: Alimentazione “Flessibile”
Saab, Volvo, Ford sono astati tra i primi a cercare di fare da traino per informare come i motori flexi-fuel fossero una normalità, standardizzati da tempo, funzionanti con benzina oppure E85 (85% bioetanolo, 15% benzina). il governo USA ha via via “forzato” Stati dell’Unione all’uso di propulsori che bevono il mix E85.
La domanda era: “ma che ci facciamo se non si può fare rifornimento?” Così i governi hanno investito e cercano di di continuare l’opera, per installare distributori di E85 in centinaia di stazioni di servizio (Fiat, o meglio, FCA, deve mettere in risalto i motori E85 anche qui, oltre che all’estero, come in Brasile). Rispetto alla benzina verde a 87 ottani, l’E85 oscilla tra 100-105 rendendolo un combustibile high-performance. In media con il 5% di potenza in più.
Il biodiesel è un combustibile ottenuto interamente da olio vegetale (colza, girasole o altri) e ha una viscosità simile a quella del gasolio per autotrazione. Usato come additivo può migliorare il potere lubrificante, per alte percentuali o per biodiesel puro, un motore deve avere molte parti compatibili. Il biodiesel ha un numero di cetano superiore al gasolio, pertanto la resa negli iniettori è favorita. Riduce di circa la metà le emissioni di ossido di carbonio (CO) e circa il 78% di anidride carbonica, produce meno zolfo, e le polveri sottili vengono tagliate fino al 65%. Con le moderne tecnologie nei gas di scarico libera ammoniaca (NH3) per la riduzione chimica degli ossidi di azoto.
Ibridi: alchimie della nuova generazione
L’ibrido ha molte varanti, ma di base rappresenta la combinazione di due o più fonti energetiche. Per esempio, motore a combustione insieme a generatore di energia elettrica (Chevrolet prepara ibridi da metà Anni 90 anche per l’esercito USA). Toyota con l’Hybrid System Drive ha fatto da traino in Europa, spingendo varie case costruttrici verso il sempre in evoluzione sistema full-hybrid, che permette anche la selezione della sola modalità elettrica (entro parametri di velocità definiti) ricaricando le batterie con l’energia dissipata in frenata, a bassi regimi o in fase di stop. Come ogni ibrido moderno. La necessità di evolversi ha creato matrimoni variegati: americani con tedeschi, americani con francesi, francesi con giapponesi.
Un ruolo cruciale è nella trasmissione, per regolare la coppia motrice nei passaggi di funzionamento di elettromotori e motore endotermico. Il bisogno di partnership, non solo tra colossi ma anche coinvolgendo aziende specializzate, è diventato necessario per affrontare i processi di studio dei moduli ibridi.
Solo i costi per sviluppare delle batterie Litio non sono facili da gestire. E c’è sempre chi ha pareri controcorrente rispetto alla sfilza di “politically correct” a cui siamo abituati, sostenendo che i sistemi ibridi richiedono un gran dispendio di risorse per un risparmio tutto sommato modesto di carburante. E poi c’è chi ritiene la possibilità di ricarica Plug-in (dalla presa elettrica) importante anche per le ibride, e la vede come un plus chi ne è dotato .
Elettriche: energia ad alto voltaggio
Le compagnie petrolifere vennero accusate di aver acquistato i brevetti di batterie innovative sfruttando la “patent protection” per frenarne l’utilizzo. Anche se è vero, e se questo costringe molti costruttori (specie i piccoli) a usare ancora anziane batterie nichel-cadmio o nichel-metal-idrato, il mondo dei veicoli elettrici cresce. Sono i veicoli Z.E. a Zero Emissioni.
Toyota ci provò già nel 1997 col SUV elettrico RAV EV, ma proprio il decadimento delle betterie, le classiche NiMH, obbligò al forfait. Oggi, dopo ritardi nelle sperimentazioni, le proposte più evolute adottano pacchetti di batterie agli ioni di Litio.
A lasciare perplessi con questi veicoli è l’assenza di vibrazioni e suoni motoristici. Chi passa vicino non li sente, tanto che, per motivi di sicurezza, si stanno sviluppando sistemi che possano far riconoscere la presenza vicina di un veicolo Z.E.
Per la ricarica Plug.in servono due set di cavi, in modo da connettersi sia alle centraline predisposte nel territorio (di cui in Italia siamo ancora debolucci), sia per chi ha la possibilità di effettuare la ricarica nel proprio box (in genere la ricarica migliore si aggira sui 2 kW ora – per 70 kW (equivalente a 95 CV)) fate un po’ voi il conto).
Le autonomie dichiarate si aggirano oggi tra 120 e 185 km (su tali ipotesi, nei nostri test difficilmente abbiamo superato i 125).
Ma vedi la Tesla che ha l’accelerazione di una Ferrari, e che nel Model S dichiara di poter viaggiare per circa 250 km e si ricarica in mezz’ora, o addirittura nel giro di tre minuti con la tecnologia Supercharger. Intrigante il video di “gara di pieno” con un’auto dal distributore. Se il futuro è questo… lo voglio!
IDROGENO: l’idea per la libertà
Il prodotto idrogeno è praticamente innocuo, e viene visto come una grande potenzialità per la mobilità del futuro. Le ricerche proseguono da anni, con risultati lenti ma, quando ci sono, mostrati come la conquista della Luna. Il prototipo BMW ne è un esempio. Per molti, la chiave di volta è nelle fuel cell, batterie elettrochimiche nelle quali si produce energia elettrica grazie a una reazione chimica fra un combustibile (che può essere idrogeno come metanolo) e l’ossigeno. Reazione che si attiva in determinate condizioni di pressione e di temperatura, in presenza di un catalizzatore (tipico il platino). Con l’idrogeno, nel processo non c’è alcuna produzione di CO2.
Le incognite riguardano la sicurezza, si tratti di trasporto di idrogeno liquido o congelato, e poi lo stoccaggio dell’idrogeno. Il problema lo si vorrebbe aggirare producendolo direttamente a bordo, ma partire ancora da un combustibile fossile (metano o metanolo) offre benefici relativi, se non un secco taglio di CO2. In sostanza è un altro passetto verso l’obbiettivo reale, che sarebbe il muoversi a “pulizia totale”.
Ottenere il prodotto idrogeno “pronto uso” solletica la ricerca. È vero, si trova nella molecola dell’acqua (H2O), ma due atomi di idrogeno sono saldamente legati all’ossigeno. Per scindere il legame si procede normalmente per elettrolisi. Una reazione che però richiede grandi quantità di energia, troppa. Trovare il sistema per sintetizzare l’idrogeno direttamente nella vettura, prodotto da una fonte rinnovabile e non con l’elettrolisi, è la scommessa.
Fabrizio Romano
finchè il petrolio ci terrà “schiavi”, saremo ciechi a qualsiasi altra forma di combustibile… cattedrali nel deserto e solo pochi pionieri riusciranno ad accettare la cosa, la massa osserverà con indifferenza… la corsa all’idrogeno che sembrava essere scemata ora ridiventa più attuale che mai, forse solo per marketing? la ricerca deve lavorare (o probabilmente lavora tutt’ora) per gestire i costi di produzione di tale risorsa (l’idrogeno non è presente sul nostro pianeta se non nell’acqua), e per tutta la sicurezza che sta dietro il suo immagazzinamento e il suo trasporto in sicurezza (quanti hanno diffidato dei primi impianti a gpl credendo di portarsi una mina nel cofano??).. la biomassa è un percorso fattibile, quanti agricoltori si trovano a vendere a chi produce energia, tanti… chi fa biomassa compra sempre, qualsiasi sia la qualità del raccolto…in brasile, economia emergente, il bioetanolo (ottenuto da canna da zucchero) è largamente diffuso..ed alcune miscele posso essere utilizzate anche dalle nostre classiche vetture a benzina….(forse questa soluzione è la più vicina a noi, a volerlo ammettere…) elettrico/ibrido, altro discorso in cui bisogna lavorare parecchio, come tutti sappiamo il discorso funziona, spero che la spinta delle competizioni verso questo senso possa far muovere anche verso l’utilizzo “civile”….forse prima di fare l’Italia, bisogna fare gli Italiani..
Grazie davvero per questa panoramica esaustiva sulle energie alternative. Da condividere.