Attacchi e terrore: guerra economica più che ideologica – Caccia al petrolio
Attacchi a Parigi, Nizza, Bruxelles, Monaco, come attacchi all’Europa e all’occidente – Anzi, come la coda di un terrore mondiale – Se ne parla meno, ma tutti sappiamo che molte zone dell’Africa sono in fiamme, come prima era accaduto a Beirut, e continua in Mali, in Nigeria, o nella più vicina fascia del turismo occidentale, fino ad arrivare al medio Oriente, e tornare in Bangladesh.
Libia e Siria come fossero uno scanner delle lotte di potere, con il petrolio che rappresenta ancora una delle più grandi micce, probabilmente la più grande a sentire gli esperti della politik-economy. Le operazioni ravvicinate in Francia, Belgio e nel cuore dell’impero Merkel sono state devastanti.
Nutrimento di un tipo di terrorismo mediatico che è la soddisfazione degli squadroni del terrore, ma è anche la paura dei poteri economici. I maggiori Capi di Stato sono stati costretti a inglobare le azioni in un “pacchetto” ormai conclamato come atto di guerra. Scatta così una catena di difesa-attacco politica e militare. Anche a costo di infrangere i confini costituzionali.
In sintesi: Paesi occidentali e loro alleati portano in campo (dentro e fuori) Polizie e Forze Armate.
Le zone di periferia si trasformano in ghetti e zone di caccia allo sguardo che non convince. Le risposte all’Isis (Stato autoproclamato) potrebbero davvero portare guerra direttamente sui propri terreni. Se si capisce quali siano.
Intanto l’economia barcolla. Eppure il costo del petrolio è andato per un bel po’ di tempo al ribasso (ma al distributore non si avverte la proporzione) e alla fine è lui, l’oro nero il forte peso sulla bilancia. Squinzi ha già detto che sono da pronosticare speculazioni (economiche) e rincari (per le tasche).
Si dovrebbero evitare demagogie; naturalmente le vittime fanno sensazione dove le vite umano hanno un valore che va sopra ogni cosa, ma anche l’operato della Francia non è certo illibato. Il Paese transalpino ha già cercato di far prevalere il suo peso in Libia rispetto all’Italia, giocando anche con la forza. E gli USA hanno ormai dato il via alle operazione aeree di bombardamento “mirato” in Siria e Libia (con l’approvazione o meno della NATO). Il presidente Obama appoggiato dal Congresso ha dato l’ok per un primo piano di sei mesi. Puntando anche a salvaguardare (anche distruggendo) le basi petrolifere e le “pipeline” del gas ancora in mano all’IS (vedi foto delle recenti azioni). L’Italia gioca a nascondino, partecipa ma per l’opinione pubblica in missioni di interceptor.
Di fatto il disordine è sempre più evidente. La Libia ha ormai confini solo virtuali: praticamente non esiste più. Troppe fazioni e divisioni, come in Siria, fatta a pezzetti. L’occidente combatte l’Isis ma è contro il boss Assad, il quale vuole strozzare le ribellioni e si dice anche lui contro l’Isis ma nei fatti lancia armi chimiche contro il suo popolo. L’America vuole annullare l’Isis quanto Assad, e vuole l’appoggio della Nato e di tutta l’Europa.
Si mette in mezzo con la calma di un peperoncino la Russia, che si dice contro il terrorismo ma lo fa sorreggendo Assad. Anche Putin vuole un ruolo da protagonista nel gioco dell’energia, dell’industria petrolifera e del gas. Poco se ne è parlato, ma non più di qualche settimana fa si è davvero sfiorata l’esplosione di un conflitto enorme. Quando aerei russi si sono presi la briga di puntare ad abbattere un aereo americano, in volo per preparare le azioni in Siria. Israele è sempre dalla parte “a stelle e strisce”; del resto conta sulla coperta occidentale, ma qui come sappiamo i problemi sono di altra natura, ed è un po’ tutto l’Islam che vorrebbe cancellarlo fisicamente dalle cartine.
In tutto questo “caos“, inquietante come una pentola a pressione o un intricato labirinto, c’è da una parte una guerra ideologica ma dall’altra una guerra economica basata proprio sul greggio. Non a caso molti la chiamano “la guerra del petrolio“.
Industrie, veicoli, muovono fiumi di denaro (solo per rifornimenti, in Italia nel 2015 la spesa è stata di oltre 57 miliardi di euro). Ironicamente, c’è chi definisce i focolai in Africa e Medio Oriente “le guerre delle Toyota”, per il massiccio uso dei pick-up nipponici (vedi in photo gallery). Ma questo è solo un gioco. Intanto la Turchia ha piazzato uomini, carri e veicoli armati a sorvegliare le frontiere.
Si devono salvaguardare le vite umane, la libertà di opinione, ma a condizionare le decisioni sono le Borse. Che coinvolgono in questa situazione tutto un mondo e conomico, legato al petrolio come alle nano tecnologie. Le decisioni vengono prese nell’ombra, con i poteri economici che dettano le regole e influenzano come non mai i poteri politici. Veri gruppi di “commando” che dominano nell’hi-tech, micro elettronica, digitale ed energia in genere. Start-up che nel giro di poco hanno conquistato valori incredibili, multinazionali di cui si scoprono le realtà molto lentamente,: Boston Dinamics, Alphabet, X, Liquid Rob.
Quindi non illudiamoci: il petrolio è una causa temporale, perché i nuovi giochi si stanno sempre girando verso le nuove tecnologie. Con altri pesi e altre misure. Volendo, ancora più implacabili.
Attacchi, guerra nascosta, terrorismo, speculazione economica sono le parole che oggi fanno paura, tuttavia sono anche quelle di cui bisogna prendere atto. In questo ambito si aprono anche liti assurde, tipo quella della Lego, messa sotto accusa dall’ente di sorveglianza americano per avere messo in vendita kit dei famosi mattoncini che replicano le fattezze di soldati e guerriglieri di questo sporco scontro.
Fabrizio Romano