Risale al settembre del 1997 la presentazione di una tra le più importanti vetture della Casa di Arese.
Raddrizza le curve
Sono sufficienti pochi chilometri al volante dell’ Alfa Romeo 156, per apprezzare appieno l’assetto sportivo e impeccabile. Gli inserimenti in curva sono veloci, netti e precisi e il mantenimento della traiettoria è esemplare e all’insegna della neutralità. Questo è quanto emerge nell’autunno del 1997, durante le prime prove su strada della berlina milanese. A differenza della progenitrice 155, infatti, i progettisti dell’Alfa Romeo di Arese hanno avuto molta più autonomia, potendo così realizzare raffinate sospensioni a quadrilatero alto anteriormente, associate a un’interessante evoluzione del McPherson posteriore, e lo sterzo più diretto della categoria.
Insomma, una gran bella guida che finalmente non fa rimpiangere più di tanto la trazione posteriore assai gradita agli Alfisti (la Alfa Romeo 156 ha al pari della 155 la trazione anteriore) e che stabilisce un termine di paragone assoluto tra le berline del Segmento D. Pare, infatti, che alla BMW acquistino un lotto di 156 proprio per studiarne il comportamento dinamico (lo sterzo della Serie 3 di allora sfigura dinanzi al comando dell’Alfa).
Motori potenti
Con la 156 del 1997 l’Alfa Romeo torna alla leadership prestazionale che mancava da troppo tempo. Merito dei propulsori 4 cilindri Twin Spark 16V 1.6, 1.8 e 2.0 (120, 144 e 155 CV le rispettive potenze) e del mitico V6 Alfa “Busso” 2.5 erogante 190 CV. La versione più equilibrata appare la 2.0 Twin Spark 16V. Capace tra l’altro di accelerare da 0 a 100 km/h in 7”9/10 effettivi come cronometreranno i collaudatori di un’importante rivista automobilistica italiana. Peccato che i Twin Spark 16V mostrino una durata limitata della cinghia di distribuzione. Sopratutto a lungo andare una fastidiosa rumorosità del variatore di fase (tra l’altro inventato proprio dall’Alfa Romeo nel 1980).
Una “vetrina” tecnologica
Ma la vera novità di portata mondiale sono i turbodiesel JTD 4 cilindri 1.9 110 CV e 2.4 136 CV, dotati della rivoluzionaria tecnologia Common Rail. Tecnologia che, contemporaneamente, esordisce anche sulla coeva Mercedes-Benz C220 D. In seguito avrà una diffusione mondiale per tutte le altre case costruttrici. Nel corso degli anni l’Alfa Romeo 156 si dimostra una “vetrina” tecnologica non solo per il Common Rail. Ma anche per essere il primo modello italiano a proporre un motore a iniezione diretta di benzina. Nella fattispecie il non fortunatissimo 2.0 JTS, e per introdurre su una vettura di grande serie il cambio robotizzato sequenziale, “lontano parente” dell’F1 che equipaggia la Ferrari 355.
Linea intramontabile
Disegnata presso il Centro Stile Alfa Romeo di Arese da Zbigniew Maurer con la supervisione di Walter De Silva, la 156 si dimostra immediatamente una bellissima automobile. Moderna, sportiva e con sapienti richiami alle Alfa del passato. La linea esterna è inconfondibile e solamente nel 2003 verrà sottoposta a un restyling da parte dell’Italdesign di Giugiaro. Risale al 2000, invece, la Sportwagon, anch’essa realizzata dal Centro Stile Alfa Romeo. Mentre nel 2001 sarà la volta delle 156 GTA berlina e Sportwagon caratterizzate dall’ultima evoluzione del V6 “Busso”, ossia il 3.2 erogante 250 CV. Da non confondersi con il successivo molto meno riuscito V6 3.2 di matrice australiana destinato alla triade 159-Brera e Spider.
Nei suoi nove anni di carriera la Alfa Romeo 156 si dimostrerà un successo commerciale notevole, rilanciando alla grande l’Alfa Romeo. Poi sarà la volta della 159 e quindi della Giulia, ma questi sono capitoli a parte.
Gian Marco Barzan