Troppi pregiudizi legati al progresso delle vetture vogliono far credere che guidare una monoposto Formula 1 sia facile. Nulla di più sbagliato.
L’elettronica conta fino a un certo punto
Recentemente mi è capitato di leggere un articolo che sosteneva la tesi come l’elettronica e i vari pulsanti a disposizione delle moderne monoposto di Formula 1 rendano molto più facile il lavoro dei piloti. Nulla di più sbagliato. Il collega in pratica sosteneva che le vetture della massima formula veramente difficili da guidare fossero quelle di decenni fa, quando non vi era l’elettronica e il cambio era rigorosamente manuale.
D’accordo, tutti noi appassionati con qualche capello bianco in testa ben ricordiamo le difficoltà e i numeri funambolici di quei piloti al volante di monoposto tremendamente difficili. Ma non si venga a dire, per favore, che grazie al progresso e all’elettronica, guidare oggi nella massima disciplina motoristica sia diventato facile.
Senza contare che la tanto decantata elettronica conta fino a un certo punto sul grado di difficoltà, in quanto fino a prova contraria non vi sono ausili come il traction control, mentre effettuare partenze con il cambio semi automatico non è certo un gioco da ragazzi, anzi, forse era meglio il caro e vecchio pedale della frizione. Ma ora proviamo a calarci nei panni di un moderno pilota di Formula 1.
Una continua lotta contro le leggi della fisica
I piloti di Formula 1 odierni, mestiere riservato ancora a pochissimi, hanno una preparazione atletica di altissimo livello soprattutto per fronteggiare nel modo migliore possibile le sollecitazioni estreme della guida al limite. Le attuali monoposto sono in grado di raggiungere un’accelerazione laterale in assetto stabilizzato pari alla bellezza di 5g.
Tanto per fare un confronto, le supercar stradali come Ferrari, Maserati, Lamborghini e Porsche raggiungono o superano di poco 1g che rimane comunque un valore pazzesco. Ecco, pensate quali sollecitazioni fisiche comportino 5g di accelerazione laterale, senza dimenticare la bravura dei piloti nel sostenerle magari a velocità ben superiori ai 250 orari (e stiamo parlando di curve!).
Quanto ai freni, è vero che gli impianti carboceramici consentono di staccare fin quasi dentro la curva, ma anche in questo caso le sollecitazioni al fisico sono massime e la difficile modulabilità del pedale richiede una sensibilità fuori dal comune.
Pioggia, adrenalina e sovrasterzi
Ora immaginate un giro di qualifica con 1.000 CV sotto il fondo schiena, la pioggia battente e la necessità di fare un buon tempo senza combinare disastri. Non esattamente facile per dirla con un eufemismo, perché sotto la spinta di quei 1.000 CV il retrotreno “ha una gran voglia” di prendere il posto dell’avantreno nelle curve e tu non puoi permetterglielo.
E allora cominci a fare manovre millimetriche con lo sterzo e il pedale destro e se sei il più bravo tra i bravi salvi il tempo sul giro e qualcos’altro, mentre l’adrenalina balza in un’ipotetica zona rossa. Quanto al cambio, chi rimpiange “i tempi eroici” delle Formula 1 con il manuale e il pedale della frizione, provi un moderno semiautomatico robotizzato. Già, sperimenti smettendo per una volta di “nutrirsi di pane e pregiudizi” cosa voglia dire per il collo una cambiata praticamente istantanea, un contraccolpo brutale da 20 millisecondi.
Velocità aeronautiche
Un moderno pilota di Formula 1 significa anche e soprattutto prendere (e perdere) velocità aeronautiche in pochissimo tempo. I 300 km/h sono lì, a “portata di piede”, arrivano fin troppo in fretta e altrettanto in fretta si guadagnano ulteriori 50 km/h mentre la curva si avvicina. E allora ti trovi a staccare al fulmicotone, magari con “il fiato sul collo” di un inseguitore che cerca di superarti, mentre davanti hai un doppiato che non ti lascia spazio.
Un moderno pilota di Formula 1 significa vista da falco e prontezza di riflessi fuori dal comune. Perché a oltre 300 orari (ma anche a velocità molto più ridotte) quel puntino la in fondo che può essere una vettura o un ostacolo arriva in attimo e il coordinamento tra mente, piedi e braccia deve essere perfetto e fotonico. Mi trovo a sorridere poi quando sento discorsi del genere “eh, ma i piloti di Formula 1 di oggi sono aiutati molto dai simulatori elettronici”.
In gara tutto è diverso
D’accordo, questi aggeggi virtuali sempre più realistici aiutano un po’ ad allenarsi, ma un conto è la finzione (per quanto ben riuscita) e un conto è la realtà. Perché quando sei in gara tutto è diverso, devi cercare di spingere al massimo e nel contempo risparmiare la meccanica, fare i conti con l’adrenalina che sale mentre sei inseguitore e al tempo stesso inseguito, tenere in strada la macchina quando comincia a piovere e hai su le gomme da asciutto.
Questo e tanto altro che nessun sistema virtuale potrà mai riprodurre fedelmente al 100%. Rimanendo in argomento, tempo fa un caro amico pilota di aerei di linea mi diceva: “credimi Gian, un conto è una piantata motore virtuale in pieno decollo al simulatore, un altro conto è la stessa situazione nel reale con 200 passeggeri dietro di cui hai tutta la responsabilità”. Come dargli torto? Senza contare le analogie che vi sono tra le attuali monoposto di Formula 1 e gli aerei, basti pensare a flap e alettoni vari e al fatto che in terra come in cielo il pilota rimane un mestiere estremamente difficile.
Con buona pace di quanti confondono il virtuale con il reale e si fanno prendere dalla “cara celeste nostalgia” di tempi passati. Infatti non erano poi tanto più difficili dei tempi odierni, sia per la Formula 1 che per l’aviazione civile. Due fantastici mondi che a volte si incontrano. Un esempio su tutti il Grande Niki Lauda da poco scomparso, Campione di Formula 1 e Comandante di Boeing 767 della propria compagnia aerea.
Gian Marco Barzan